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giovedì 14 gennaio 2016






CONTINUIAMO COME CONCORDATO LE NOSTRE MEDITAZIONI MENSILI SULLE PARABOLE DELLA MISERICORDIA... BUONA E SANTA LETTURA 



ASCOLTIAMO LA PAROLA DEL SIGNORE 

DAL VANGELO LUCA (18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

Riflessione sulla Parabola del pubblicano e fariseo (curata da Sergio Angelo seminarista III anno di Teologia)
Questa parabola parla direttamente al cuore di ognuno di noi. Non sono due persone distinte ma sono due realtà, che agiscono in noi, sono nostri atteggiamenti, che costantemente ripercorriamo nella nostra vita. Nei confronti di Dio, verso noi stessi e verso il prossimo, noi assumiamo a volte l’atteggiamento del fariseo e a volte quello del pubblicano. Non possiamo perciò giudicare a priori questi due personaggi, dovremmo prima comprendere che entrambi hanno la valenza di rappresentarci, entrambi sono atti intrinseci al nostro modo di agire.
Non a caso Gesù si rivolge a coloro che credono di essere nel giusto. Ignorando la condizione precaria in cui ognuno di noi vive. Anche chi segue Gesù non è esente da questa tentazione, anzi la certezza di sentirsi giusti assume delle connotazioni sottili, sofisticate. Tanti di noi credono di meritarsi l’amore di Dio, perché buoni Cristiani, perché rispettosi della Legge, assidui frequentatori della S. Messa, uomini atti al ben pensare. In questi atti ecco affiorare tutta la nostra superbia, tutta la pretesa di aver guadagnato l’amore di Dio: ”Sì, mi spetta, sono stato buono”. In quest’ottica l’amore gratuito di Dio diventa prostituzione, idolatria. Dio ama me, perché sono bravo, mi ama, perché lo merito. E’ la logica del “do ut des”, la perversione più assoluta di quell’amore donatoci gratuitamente. Il secondo passo è breve, il disprezzo per chi quell’amore non lo merita.
“O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano”.
Quanti di noi non hanno pensato questo, quanti nella preghiera hanno assunto atteggiamento di giudizio, di condanna e quindi di morte? Ecco perché il fariseo torna a casa non giustificato, egli chiede la morte del fratello e non di meno quella richiesta è rivolta al Padre. Come può un fratello gioire per la morte di un altro fratello? Come può pregare il Padre infangando la dignità di un fratello? A questo siamo soggetti quando preghiamo con intenzione doppia, falsa, ipocrita.
Il pubblicano non vuole giustificarsi, non pone innanzi nessun merito, non aggiunge cuore altezzoso e doppio alla sua miseria; riconosce la povertà dei suoi atti, l’incoerenza della sua vita, l’impotenza di santificarsi da solo. Perciò la sua preghiera è vera e autentica; a questa richiesta nessun padre può rifiutare il perdono. Nella sequela Cristiana non vi è spazio per la perfettibilità, Dio non ci vuole perfetti; un cuore conscio della propria miseria aspetta l’Amore gratuito, quell'Amore che gli dà la forza necessaria per guardare alla propria miseria e risanarla, santificarla.
Per questo il pubblicano torna giustificato mentre il fariseo no. Ancora una volta Gesù mette in crisi la logica del mondo. Dio guarda all'uomo, chiunque esso sia, ma solo chi si denuda come Gesù sulla Croce può abbracciare totalmente l’Amore di un Dio, che si piega sulla sua miseria e cura le ferite, lava dal peccato. Dio guarda ma non può giustificare chi si copre come Adamo nel giardino dell’Eden, chi “rivestito” del suo peccato vuol essere in realtà giudice e dio di se stesso . 

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