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venerdì 11 dicembre 2015




Carissimi educatori, 
come già vi ho accennato nell'ultimo incontro di formazione (per chi c'era) quest'anno ci saranno oltre alle prove mensili, alle feste cittadine, ecc.. soprattutto delle NOVITÀ', per aiutarci a vivere meglio il servizio nelle nostre parrocchie. Per questo ho pensato, in quest'anno della misericordia iniziato da papa Francesco 8 dicembre scorso, ogni mese di pubblicare un commento a tutte quelle parabole che ci spiegano cos'è la misericordia. Ringrazio di cuore i seminaristi del seminario Regionale di Molfetta che hanno dato la loro completa disponibilità ad offrirci le loro preziose riflessioni. A presto don Francesco. 





ASCOLTIAMO LA PAROLA DEL SIGNORE 
DAL VANGELO DI LUCA (Lc 15, 11-32)

  Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze.  Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.  Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. 
E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò.  Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Riflessione sulla Parabola del Padre Buono (curata da Dantile Paolo seminarista III anno di Teologia)

Meditando questa storia di famiglia la nostra attenzione potrebbe subito essere catturata da una nota dissonante, un figlio che vuole andare via di casa per sentirsi “libero” e chiede a suo padre la parte di eredità che gli spetta. Ma c’è qualcosa di ancor più “scandaloso”: un padre che ha cercato di dare sempre il meglio di sé e che alla fine si ritrova un figlio egoista e uno orgoglioso.
Questo è Dio. Il suo amore è un amore fallito se questo è il risultato, ma ciò che lo rende unico è che lascia sempre liberi. Ti permette di allontanarti da lui o addirittura abbandonarlo per “sperperare” i doni che da sempre ti ha fatto. Essere liberi per compiere scelte e poter anche sbagliare: questa è la logica dell’amore di Dio.
È  come se il figlio minore, chiedendo la sua parte di eredità, dicesse al padre: “tu per me sei morto!”. Il peccato è proprio questo: scegliere come se Dio non ci fosse. Spesso la presenza di Dio la percepiamo come un limite alla nostra libertà e pertanto preferiamo metterlo fuori dalla nostra vita. Peccare non vuol dire non sbagliare, ma vivere come se Dio non esistesse. Il figlio minore con la sua scelta è come se fosse andato fuori di sé, ma quando si ritrova a non aver più nulla, neanche da mangiare, “torna in se stesso”. Questo è il ritorno più importante, quello che lo renderà capace di ritornare da suo padre. Bisogna avere il coraggio di esplorare i meandri della propria interiorità, senza il timore di spingersi nelle zone più scure della propria anima perché è proprio lì che Dio si fa trovare pronto a stringerci tra le sue braccia. Questo è il momento in cui possiamo riconoscere il vero volto di Dio, quello di un Padre misericordioso disposto a donarci sempre la possibilità di una vita nuova, perché vuole solo il nostro bene.
Nel finale entra in scena il figlio maggiore, subito pronto a giudicare l’amore del padre verso suo fratello credendo che la conversione sia solo qualcosa che riguardi gli altri. Egli è fermamente convinto di essere creditore nei confronti di suo padre per tutto ciò che ha fatto. Questo è quello che facciamo quando puntando il dito non ci lasciamo amare.
È straordinaria la “buona notizia” che Gesù ci dà attraverso questa parabola: Dio è Padre infinitamente buono che ci attende per correrci incontro quando scegliamo di ritornare da lui.

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